Games. Cose da nerd?
Sul sessismo di videogames, RPG e (molto) altro, articolo immaginato, discusso e scritto a due teste e a quattro mani con Kaiyanwang, L. M. “in real life”, biotecnologo migrante decisamente nerd che ringrazio per le stimolanti chiacchierate virtuali.
Quando la cheescake non è una torta al formaggio me lo ricorda una casuale conversazione su skype con un amico appassionato di videogiochi e giochi di ruolo, uno di quelli che si legge però anche i commenti dei forum “nerdosi” sui personaggi e le storie, sugli sviluppi e le novità, trai quali ci scappa anche qualche chiacchiera sugli stereotipi razzisti e di genere con cui i protagonisti dei giochi vengono rappresentati e caratterizzati.
Nella diffusa analisi sull’uso sessista che media, pubblicità e politica fanno del corpo delle donne, viene per lo più ignorato un linguaggio altrettanto reale di oggettivazione della figura femminile che lavora sull’immaginario di adolescenti e nella cultura popolare in generale confermando gerarchie di valori e aspettative su ruoli e comportamenti: quello del gioco virtuale.
La stereotipizzazione sessista di personaggi di videogames e role-play-games, a quanto pare, è invece al centro di un dibattito abbastanza acceso nel cosiddetto mondo nerd, con tanto di botta e risposta con i designers a cui si chiedono spiegazioni di certe scelte “estetiche” e discussioni accese e puntuali in chat tra gamers.
Pochi personaggi donna, pochi protagonisti donna, ma quando sono presenti lo sono con una formula particolare rispetto al ruolo, all’estetica e alle trame che nonostante l’evoluzione nel corso degli anni nella creazione e fruizione di giochi permane.
We don’t need another hero.
La tradizione vuole che vi sia una principessa in abito lungo e preferibilmente rosa, incapace di badare a se stessa e cacciatasi in qualche modo nei guai (rapita, imprigionata, in pericolo…) che deve essere salvata dall’eroico protagonista maschile, per il quale spesso ella incarna anche il premio per il superamento delle numerose fatiche. Un classico degli anni ‘80: Mario, La leggenda di Zelda, Donkey Kong [1].
Anche più avanti, però, quando iniziano a vedersi i primi personaggi donna, si incappa spesso nello stesso stereotipo narrativo: essi compaiono o come partner dei protagonisti maschili, o come fanciulle da scortare, o in qualche modo dipendenti dall’eroe maschio. In Knights Contract (2011), il valoroso Heinrich è il protettore della strega Gretchen, la quale, pur in grado di padroneggiare potenti forme di stregoneria, è tuttavia vincolata al giovane in quanto può recuperare le proprie energie soltanto in un modo: riposarsi tra le sue braccia.
Ma non finisce qui: il personaggio donna, anche se si emancipa dal ruolo di vittima e acquisisce un ruolo attivo nel gioco, rimane comunque portatrice di un universo simbolico, per cui troppo spesso entro i giochi di ruolo (come Dugeon & Dragons) un demone di genere femminile ricopre il ruolo di tentatrice, succube, ammaliatrice… mentre i suoi “colleghi” maschi possono permettersi ruoli più svariati: dal mero picchiatore al mastermind. In poche parole l’alternativa all’invisibilità delle donne nei videogiochi è la vittimizzazione o la sessualizzazione: solo un altro percorso di distinzione dell’universo femminile in sante e puttane.
Cheescake is offensive and unnecessary.
Anche quando si afferma il protagonismo femminile, rimangono però delle caratteristiche di erotizzazione e genderizzazione dei personaggi così ingombranti che, non richieste dal plot ma anzi spesso cozzanti con le azioni e le ambientazioni, sfiorano il grottesco. Ok che in alcuni casi l’avvenenza della protagonista può essere contemplata nella caratterizzazione del personaggio, ma quella è Barbie! In altre parole, anche quando al personaggio femminile viene assegnato un ruolo più assertivo, è quasi impossibile che si faccia a meno di sessualizzarlo in abbigliamento e pose.
A sdoganare questo trend è l’indimenticabile Lara Croft e la sua sfida alla forza di gravità [2], alla quale segue una sfilza di eroine e combattenti la cui estetica è un’aperta risposta alle fantasie del giocatore maschio adolescente: seni prorompenti, gambe lunghe e sinuose, bocche semi-aperte ed ammiccanti, bikini e nudità compulsive anche laddove non solo non sono giustificate, ma nocive (come nel caso di decolleté che lasciano scoperto il cuore).
Ma anche quando le donne sono “coperte” sono fortemente genderizzate. Esemplificativo è il caso di Pathfinder, dove troviamo armature inesistenti o armature sagomate sui seni, ridicole vestigia dell’art anni ’70/’80 del genere, come se non lo sapessero anche i sassi che nel medioevo in oriente e in occidente le donne che combattevano (ed erano molte) si fasciavano i seni in battaglia. É questa la cheesecake, ovvero una sovra-esposizione dermica femminile finalizzata all’appagamento dello sguardo dei fan (fanservice), contro la quale protestano molti de* giovani gamers (negli stessi forum Paizo, la casa che produce Pathfinder, il dibattito si riaccende periodicamente).
Tra di essi, tra l’altro, si registra una percentuale sempre più alta di donne, che in alcuni paesi superano numericamente i gamers maschili (per il suo manuale della sesta edizione di Warhammer 40k, la storica Games Workshop a far comparire nel libretto di istruzioni 2012 per la prima volta delle giocatrici attorno al tavolo da gioco – segno dei tempi che cambiano? La stessa vituperata GW ha inserito personaggi femminili del tutto disgiunti dalla loro sessualità fra eroi e villains: un’esempio eclatante è Valkia, la quale non sfugge però al triste destino della boob-armor) [3].
In questo contesto è facile comprendere la portata spiazzante della verità-rivelazione su Samus Aran (Metroid): è una donna senza che il plot lo richieda… un personaggio determinato e forte, protagonista assoluto del gioco e per questo non c’è alcun motivo per cui esso sia femmina… Ma perché NO? [4]
We are gamers.
Il salto dal machismo virtuale a quello reale è breve: il sessismo espresso nella rappresentazione grafica dei personaggi e nei plot veicola comportamenti machisti nella realtà delle relazioni quotidiane, anche se queste si verificano dietro a schermi e nicknames. A farne per prime le spese sono proprio le giocartici, che, soprattutto nelle competizioni online, devono affrontare continue molestie sessuali, svalutazioni e “irresistibili” proposte hard. E proprio loro, quasi cyberfemministe alla conquista di una macho-free-zone virtuale, cercano di affermarsi come gamers tentando di cambiare il linguaggio e attraverso il linguaggio l’immaginario, rivendicando il diritto ad uno spazio libero da sessismo, razzismo e omofobia: qui sotto il Gamer Girl Manifesto (2011).
Appendice [1]
Sul tropo della damigella in pericolo, da vedere questo video pubblicato qualche giorno fa da Feminist Frequency: un serie di video-analisi realizzati da Anita Sarkeesian sulle rappresentazioni di genere, i miti e i messaggi nei media della cultura popolare.
Appendice [2]
Ma Tomb Raider ci svela anche una cosa sugli FPS (First Person Shooters), ovvero i giochi cosiddetti “sparatutto” in cui il protagonista gode di una visuale in prima persona. I personaggi femminili in cui ci si può immedesimare sono spesso rappresentati in terza persona (Lara Croft ne è appunto l’esempio più famoso), prospettiva che promuove l’oggettificazione del personaggio femminile, considerando che il punto visuale del pubblico è prevalentemente maschile.
Appendice [3]
Stesso problema lo troviamo nei fumetti e nei cartoni animati in cui sono protagonisti eroi ed eroine: stereotipizzazione di genere nelle trame e barbiezzazione dei personaggi. Per dare un’idea della cosa vedete questa satira: “se tutti i personaggi posassero come donne” – Reel Girl. Un termine per la sovraesposizione dermica al maschile esiste – ed è “beefcake“, ma l’occorrenza è di sicuro inferiore e più logica, coerente con il personaggio – basta fare un confronto fra i personaggi di una serie come Soul Calibur.
Appendice [4]
Ebbene, nel 1986 di sicuro si stagliava nettamente dalle varie principesse da salvare, ma il modo con cui si è evoluto negli anni il design del personaggio potrebbe lasciare molto a desiderare. Mi preme, infatti, sottolineare che anche nella scelta avanguardistica dei designers di Metroid permane, seppure più nascosto, il cliché della sessualizzazione delle protagoniste femminili dei games: Samus Aran quando appare, infatti, rivela un corpo tutto curve valorizzato da un bel bikini rosa o rinchiuso in una tutina attillata: insomma, una sorta di gesto di scuse degli autori che suona come un sì, ok, ve l’abbiamo fatta donna, MA GUARDATE CHE DONNA! Ad onor del vero, se hai quattro pixel in croce come nella prima versione non è difficile cadere nelle stereotipizzazioni estetiche per far capire che il personaggio è una donna, ma la prospettiva cambia decisamente rispetto alle tutine attillate disegnate con la grafica attuale…
Appendice [5]
Per chi non rinuncia al romanticismo e ha nostalgia delle sale giochi o degli angoli bui dei bar di periferia, abbiamo scovato questa perla: “Fantasia”, il “puzzle per adulti” degli anni ‘90 in cui l’obiettivo era scoprire progressivamente immagini di donne in déshabillé e in pose osé.