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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

8 marzo il piacere dello sciopero

Mercoledì 8 marzo 2017 le donne di tutto il globo si fermeranno e si asterranno dal lavoro: sono 55 i paesi che hanno aderito allo sciopero. In Italia il movimento femminista ha ripreso lo slogan delle donne argentine “Non una di meno” contro la violenza maschile sulle donne.

Lo sciopero globale delle donne è un’occasione per riappropriarsi e risignificare la giornata dell’8 marzo, perché se è vero che per tante donne è un’occasione di pausa dalla famiglia con la scusa dell’uscita con le amiche, di “festa”, è innegabile che negli ultimi decenni questa giornata ha perso un po’ di mordente e di senso collettivo.

Ci vengono in mente le iniziative pensate per sole donne, come gli strip tease maschili che se da una parte hanno puntato i riflettori sulla dimensione catartica dell’intrattenimento sex&trash, dall’altra hanno intercettato l’evidente necessità di appropriarsi concretamente dello spazio del piacere come momento di condivisione tra donne, e questo è l’aspetto che ci interessa.

Non è nostra volontà demonizzare la scelta dello spogliarello, al contrario ci incuriosisce indagare questo “riuscito” format e del perché associarlo all’8 marzo: che piacere suscita? che spazi di condivisione apre? desiderare un corpo maschile muscoloso e glabro è socialmente accettato, perché richiama uno stereotipo gay ed è quindi depotenziato in un’ottica eteronormativa?

Chi tra voi ci segue da tempo, sa molto bene che queste riflessioni, oggi quasi scontate, per anni sono state percepite come accessorie o “non politiche”.

Le assemblee svolte nel contesto di un sexshop e l’interrogarsi sul lavoro sessuale e la pornografia ha suscitato enormi perplessità nel mondo dell’attivismo femminista o del “movimento”, come se il piacere fosse secondario e la sessualità da relegare o nel piano “alto” della salute riproduttiva, oppure della “violenza”, per cui ok parlare di safer sex, ma solo se con un approccio medicale, ok parlare di orgasmo, ma solo se espresso in alcune pratiche moralmente accettate (per fare un esempio il bdsm era nella lista dei cattivi, perché “violento”) ok parlare di desiderio, ma solo citando Foucault.

Il femminismo degli anni ‘70 ha criticato la sessualità fallocentrica e le teorie freudiane proponendo percorsi di autocoscienza per divenire soggetto autonomo o meglio “donna clitoridea”, al grido di “col dito, col dito l’orgasmo è garantito” ha conquistato il diritto a una maternità consapevole e l’istituzione dei consultori. Un passaggio di consapevolezza fondamentale, arguto  e prezioso per donne e lesbiche, ma che successivamente è stato assunto da certi femminismi come bandiera censoria verso i percorsi esplorativi di linguaggi e immaginari interessati a riprogrammare i codici della pornografia e del “fallocentrismo” praticando “Dildotettonica”.

In questi ultimi anni alcune perplessità sono cadute anche per merito del femminismo intersezionale, la percezione delle propria soggettività a partire dal posizionamento non solo di genere, ma anche di classe o di “razza” ha ampliato la visione sull’eccentricità dei corpi e la varietà dei desideri e delle pratiche: non esiste una generica “donnità”, perché una donna europea e bianca è per certi versi privilegiata rispetto a una donna trans nera senza permesso di soggiorno.

 Il genere è solo un filo della fitta trama su cui ricamare lotte, desideri e diritti. 

Il movimento italiano “Non una di meno” ha tra le parole chiave il piacere e il desiderio e la prospettiva di un consultorio capace di accogliere identità che eccedono il binarismo di genere ed è a partire da qui, dal nocciolo del desiderio e del riconoscere il piacere come passaggio necessario per riconoscere la violenza dei ruoli di genere che lo sciopero assume un significato che va oltre a quello del blocco del flusso produttivo inteso in senso classico. 

Non è solo uno sciopero per la donna “lavoratrice” salariata, ma di tutte colore che portano avanti creando valore sociale, ma senza riconoscimento e salario, il lavoro di riproduzione sociale già individuato dal femminismo degli anni ’70 ovvero il lavoro di cura e affettivo e tutte quelle mansioni extra che vengono richieste in quanto donne.

Se non hai un lavoro, se sei una trans-precaria, se sei una lavoratrice autonoma, un “uomo”, una migrante senza cittadinanza, o se non sei nessuna poco importa, perché ci si può “sottrarre” da quello che ruoli di genere e immaginari stereotipati (come quelli dei sopracitati streap tease) impongono a tutte e tutti in mille modi, non solo sul lavoro, ma anche a casa, a letto e davanti allo specchio. Le convenzioni sociali non sono neutre!

Scendi in strada, appendi una bandiera alla finestra, vestiti di nero e fuxia, fermati, interrompi il flusso di lavoro che dai per scontato e che esegui come un automa. Respira alza lo sguardo. basta questo, una semplice presa di coscienza e poi incrocia lo sguardo di altre come te.

Unisciti alla marea che l’8 marzo invaderà le strade e le piazze: perché la rivoluzione è come il piacere: come vuoi, quando vuoi, con chi vuoi!!

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Photo By: cover post by mp5