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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Vodka e Tena Lady. Progetto artistico che si fa beffa dei ruoli sociali e di genere.

“I neuroni a specchio permettono di percepire e interpretare le emozioni altrui. È l’empatia.” proclama Nonna, parlando forse della nuova vita con la nipote, descrivendo l’esperienza della mostra al Piedàterre, durante Gender Bender, curata da Matilde Piazzi e Maria Ida Bernabei.

Facciamo prima un passo indietro: Vodka and Tena Lady è il risultato dell’incontro “tra l’alcolismo creativo” di Gioia Maini e “l’incontenibile verve” di nonna Giulia. Nei video, in realtà, tra latex, parrucche, frustini e battipanni, è quasi sempre Gioia aka Charlie a indossare gli slippoloni, termine coniato da Nonna dal calco inglese slip pull on, per venire incontro alla testardaggine della nipote “che continua a chiamarli pannoloni, e sono definiti come l’unità paradossale che ridefinisce il lavaggio in lavatrice”.

Gioia/Charlie torna dai suoi lunghi viaggi e decide di iniziarne un altro, insieme a Nonna. Si trasferisce nella casa sui tetti di Bologna e a volte vanno insieme in campagna o a trovare le vecchie amiche di un tempo. Intanto scrive su pagina pubblica il loro diario, condiviso su Instagram.

 

Raccontare è parte della loro performance, in cui ogni oggetto domestico viene feticizzato e qualunque harness diviene oggetto della loro quotidianità. È la perfomance di due persone che definire semplicemente donne sarebbe lapidario, una definizione troppo breve su pietra che non restituisce la strumentalità con cui si appropriano del femminile, del feticismo, ma anche della vecchiaia, per portare ognuna di queste categorie oltre il limite e farle esplodere, rendendone ognuna parte del loro gioco, degli sberleffi tra loro, contro la società.

Raccontare è il gesto generoso che dona al follower e a tuttu noi che siam lì per la mostra, ma è anche una pratica performativa essa stessa, nel senso che mentre svolge il filo del legame rendendoci chiaro cosa le unisca, allo stesso tempo produce quel filo stesso, tramando nuova parentela, una nuova qualità per vecchi modi di stare insieme. È un gioco, un desiderio, tra due persone libere, che hanno vissuto da persone libere e che liberamente hanno scelto di unirsi per attraversare insieme un momento sensibile, libere dai sensi di colpa e dal dovere, unite dal desiderio, l’indiscutibile autoironia e da un lutto.

 

Diana è l’anello presente, non un salto, non un’interruzione, tra una madre che ha perso la sua unica figlia, e una figlia che ha perso troppo presto la madre che le somiglia in modo impressionante. Le foto sono lì, ad accoglierci all’ingresso, introducendoci all’album familiare di altra forma. Diana non è un fantasma che si agita sullo sfondo, ad agitarsi, sullo sfondo e soprattutto in primo piano è Gioia/Charlie. Diana è presente e si vivifica in uno dei sogni di Nonna raccontato in forma di dialogo nel diario, per qualche giorno proiettato su parete, ma ancora disponibile a chiunque sulla piattaforma. “Cos’è il vero amore?” Gioia/Charlie chiede a Nonna. È Diana, e non è un caso che sia proprio lei, a custodirne il segreto della conoscenza e ad affidare a Nonna il racconto di cosa sia il vero amore. Ma il sogno finisce troppo presto, prima di dare una risposta definitiva.

 

Così come rimangono senza risposta tutte le domande che Gioia/Charlie ancora voleva fare a Nonna Giulia. Comincia ad arrotolarsi in ognuna delle coperte, continuando a cadere rimanendo scoperta lei e il letto; inizia a svuotare i cassetti a riordinare la casa e disordinare la narrativa familiare. Ad accompagnarla nella burla alla sacralità della morte ci pensa la rete di fototograf* amic*: “Carte da gioco e domopak”, “Perette spazzolino per unghie e dentiere”, “Sedia a rotelle e centrino”, “Cappotto vintage, aspirapolvere con dildo e frustino”, “Padelle e bikini”. Nipote e designer, Gioia/Charlie, scopre cose e assedia lo spazio pubblico con la loro domesticità, indossando, o non indossando, ciascuno di questi oggetti, risignificato in un’estetica erotica quanto grottesca. In continuazione, tra la stanza da letto e il portico di San Luca, tra il bagno di casa e i Instagram, la vecchia sfida femminista ai confini tra pubblico e privato, oggi, in questo diario, è prodotta con l’irruzione dell’intimo sul social.

Tra le foto sono ancora legata dalla poesia di “Collezione di collant”. Gioia/Charlie, tesse una ragnatela di collant, tutti color carne, annodati tra loro e tra filari di viti, annodata anche lei, nell’ambivalenza dei legami. Mi sento tirata con lei da questa stringente ambivalenza che si produce ogni volta che si elabora la necessità di trasformare la famiglia e l’esilio dalla parentela come vincolo asfittico, come respirare sotto una calza.

Mi sento tirata con lei da questa stringente ambivalenza che si produce ogni volta che si elabora la necessità di trasformare la famiglia e l’esilio dalla parentela come vincolo asfittico, come respirare sotto una calza.

Eppure sentire il bisogno di qualcosa di elastico, di una rete, che ci tenga quando si sente di cadere. È tutto lì, in quello stare nella vigna, nella ricerca di un equilibrio, Gioia/Charlie non mente e non cela le difficoltà di assumersi la cura, anche quando consuma. Ma ancora voler stare lì. Dopo aver girato il mondo, è tornata a casa proprio per trovare libertà e affidabilità: la possibilità di sapere che la rete tiene per te, ma anche sapere che tu, con la tua creatività e le energie migliori sei a lavoro per tramare la parentela radicale.

E forse è proprio nella cura la parte più queer e radicale di questo progetto. Scavando, esce fuori una rubrica di Nonna Giulia, una sorta di vocabolario inglese italiano DIY, cadendo lascia aperta la Q. Inaspettata, Nonna aveva appuntato la parola “queer: starno – bizzarro – singolare – ambiguo. To feel queer – avere un malessere. A queer onself with someone – mettersi in disaccordo – attirare l’antipatia di qualcuno.”

Ho conosciuto Gioia/Charlie in un viaggio, per caso, ci siamo incontrate sulla rete per andare a vedere una perfomance a Vicenza. Durante il viaggio tra Bologna e Vicenza e ritorno abbiamo chiacchierato, riso da morire, ci siamo perse e abbiamo pisciato in luoghi improbabili. Ma solo la notte in cui sono tornata a casa, dopo che ci siamo salutate, ho incontrato Gioia davvero, la sua poesia, ho incontrato Gioia in un luogo sensibile anche per me, dove si può parlare di lutto, di cura, di legami. Ho ritrovato sulla nonna la parrucca verde, che l’ha accompagnata fino all’ultimo viaggio, che continuavo a guardare scritta sulla pelle della mia autista durante il nostro viaggio. Mi sono sentita benedetta per aver incontrato un genio che potesse fare pornografia e condividere emozioni senza alcun patetismo, senza mai fare pornografia delle emozioni. Ho passato la notte a ridere a crepapelle e piangere di commozione: esattamente l’effetto che Gioia/Charlie ti fa.

Nonna ha un cuore anatomico rosso tra le mani e quasi urla: “e con questo che ci faccio?” Nella foto successiva Gioia lo caca sul pavimento, come le aveva suggerito Nonna Giulia.


La mostra Vodka and Tena Lady  si è svolta in occasione di Gender Bender 2018 – festival internazionale che presenta al pubblico italiano gli immaginari prodotti dalla cultura contemporanea legati alle nuove rappresentazioni del corpo, delle identità di genere e di orientamento sessuale.

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