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Quando il vibratore scompiglia l’ordine patriarcale

Teoria femminista o teoria del film?

Tutto cominciò con un film, o meglio con una regista: Dorothy Arzner, una donna per l’appunto la cui particolarità non risiede nel fatto di essere stata donna e regista al contempo quanto nel fatto di aver operato nel regno della cinematografia istituzionale e smaccatamente patriarcale: lo studio system.

Fu Pam Cook con il suo Approaching the work of Dorothy Arzner a porre al centro della questione “femminile” il lavoro squisitamente linguistico e non più contenutistico dell’istanza femminile al cinema.

Andiamo per ordine.

La FFT (FEMMINIST FILM THEORY) come si può immaginare nasce da quel clima unico e mai completamente assorbito che sono gli anni della rivoluzione sessuale e culturale, ma i primi movimenti nel senso di una teoria dell’arte sessuale (in regime cinematografico) attecchirono in quella Inghilterra che tanto successo aveva riservato agli interventi psicoanalitici di Bellour, Metz e Lacan. Quest’ultimo in particolare, mediante un intervento analitico sul principio del “sistema di scambio” in Lévi-Strauss, rivelò che nei sistemi di parentela e nei rapporti tra soggetto e simbolico, la donna diventa “segno” (di scambio) e dunque oggetto di scambio.

Da qui Pam Cook giunse a un’idea della donna nel contesto del classicismo hollywoodiano, come spazio vuoto, terreno di significazione che assume senso solo se in relazione al soggetto maschile, di cui è oggetto, desiderio, scambio…in breve il femmineo non è mai soggetto bensì solo orizzonte attraverso cui il mascolino diviene pienamente soggetto.

Prendiamo in esame il film di Walsh “The revolt of Mamie Stover” (Femmina ribelle, felice traduzione!, del 1956 quindi in pieno classicismo).

Come rileva non solo Pam Cook ma la stessa Clair Johnston (anch’essa promotrice di un approccio femminista più vicino a una teoria della forma), la protagonista, contro ogni suggerimento testuale, è solo fintamente forte, essa è piuttosto il centro (e l’oggetto) di uno scambio legato alla circolazione di denaro, e dunque ancora una volta oggetto.

Nel caso della Arzner al contrario, sebbene il tessuto narrativo e la retorica del discorso rimangano pur sempre classici, il testo è di tipo “progressivo” (concetto chiave nei rapporti fra cinema e ideologia visitato dai Chaiers e poi ripreso dalla Johnston), cioè solo apparentemente in linea con le dominanti ideologiche (della hollywood del visual -and male- pleasure), ma in realtà percorso da tensioni e slanci scettici, da ripensamenti degli stilemi sessisti.

Facciamo ancora un esempio: nel finale di “Dance, girl dance” (Arzner, 1940) la protagonista Judy guarda al pubblico in sala con occhi disgustati.

Ecco questo semplice procedimento costituisce una delle primissime, se non la prima, forma di “discorso squisitamente femminile” all’interno del testo filmico. L’esibizione femminile al cinema ha come postulato il collocamento della donna come oggetto dello sguardo, canalizzatore del desiderio e snodo di reminiscenze edipiche. In questo caso la vecchia e brillante retorica hollywoodiana dell’illusionismo (l’attore non guarda mai lo spettatore come anche il personaggio femminile che si esibisce non guarda mai il pubblico) viene interrotta praticando una sorta di “contraccolpo visivo” ma pur sempre all’interno di un cinema “narrativo”.

La FFT così concepita dalla Cook, dalla Johnstone e ancor più dai lavori programmatici di Mulvey e Studlar smette di essere una suggestione votata alla ricerca delle connessioni tra la rappresentazione cinematografica del femmineo e la sua condizione quotidiana, e diviene una vera e propria “teoria di campo” (cit. Casetti “Teorie del cinema”), che ha il merito di aver fatto del cinema un campo di interrogativi, in cui ciò che conta non è la risoluzione degli enigmi bensì la qualità degli interrogativi stessi. Nella fattispecie alla FFT va il merito di aver posto la questione dei rapporti tra il cinema e la “differenza sessuale”, e cioè di indagare i procedimenti formali e linguistici attraverso cui quest’arte costruisce la sexual difference e vi riserva spazi di autodeterminazione.

Le questioni politiche, sessuali, razziali o di qualsivoglia altra natura al cinema non possono che essere ricercate sul solo livello attraverso cui il cinema dice: quello estetico. E pertanto nelle puntate successive ci soffermeremo sui suggestivi interventi psicoanalitici e semiotici della FFT su Hitchcock, Von Stenberg e molti altri ancora!

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