Il Museo della Contraccezione e dell’Aborto di Vienna: il museo visitabile online che rompe i tabù
Il Museo della Contraccezione e dell’Aborto di Vienna (MUVS) è un caso molto interessante, prima di tutto perché si tratta di un museo su temi tabù situato in pieno centro città, poi perché è visitabile direttamente dal sito ufficiale. È formato da sole due stanze: la prima è dedicata alla contraccezione e la seconda all’aborto.
MUVS è finanziato da un’associazione austriaca privata ed è economico per i più giovani (se hai meno di 22 anni, un biglietto ti costa 4 euro). Secondo il suo fondatore, il ginecologo Christian Fiala, è l’unico museo nel mondo che documenta la «lotta per il controllo della fertilità».
Il sito web (disponibile in tedesco e in inglese) permette di visitare le stanze digitalmente. Nel sito si possono trovare e vedere gli oggetti del museo, attraverso immagini e descrizioni dettagliate. Ma c’è anche una sezione dedicata ad articoli recenti sul diritto all’aborto e alla contraccezione, e una bibliografia sull’argomento.
Il MUVS ha scelto di raccontare la storia di vecchi e inefficienti metodi di contraccezione invece che dedicarsi allo spiegare quelli nuovi. Alla base c’è l’idea che questo attiri un pubblico maggiore, specialmente giovane.
E al museo si trova veramente di tutto. Ad esempio, entrando si incontra un bidet gloriosamente situato nella prima delle due stanze. Avete presente il bidet, quello strumento da bagno che risveglia in noi malsani sentimenti di nazionalismo italiano una volta che siamo all’estero e lui non c’è? Il bidet – non un prodotto italiano – è nato con lo scopo preciso di permettere alle donne borghesi di fare lavande vaginali post-coito come metodo contraccettivo, ed è stato usato per questo fine fino agli anni ’60.
Oltre a questo, sono esposti tanti tipi di oggetti. Dalle barriere vaginali che si sono susseguite nel tempo, numerose quanto le tipologie di lavande vaginali, ai ‘primi’ preservativi realizzati con vesciche di pesce o intestino di pecora (da usare più di una volta, se ne vendevano anche di seconda mano). Dagli strumenti utilizzati per indurre un aborto, clandestino o legale (sapone, farmaci, gli strumenti medici ufficiali e come sono cambiati negli anni…), ai vari test di gravidanza (tra cui uno coinvolgente l’uso di una rana, in uso fino al 1970 e che, strano a dirsi, è un metodo affidabile). Il tutto crea un panorama storico affascinante (e un tantino assurdo).
Alcuni degli oggetti sono stati donati, altri non sono propriamente oggetti – come il test di gravidanza della rana – e sono stati ricreati in laboratorio e filmati. Nel ricreare questi ultimi, spesso mancava una conoscenza previa sul come fare per farli funzionare, a causa della mancanza di fonti. Alla difficoltà, per i/le curatori/ici, di trovare reperti e informazioni da usare nel museo hanno contribuito tre fattori:
- La contraccezione e l’aborto sono argomenti tabù.
- Entrambi vengono costruiti e usati molto spesso, ma le persone tendenzialmente buttano questi oggetti – il che a pensarci è strano, perché il diaframma di nonna avrà avuto molto più impatto sulla sua vita rispetto a, per esempio, i suoi gioielli.
- Non c’è un esempio precedente da seguire, per il MUVS; quindi le persone che ci hanno lavorato hanno dovuto sviluppare il concetto di un museo del genere autonomamente.
Gli oggetti e le descrizioni raccontano una storia che ci parla di quanto è stato difficile per le donne sapere qualcosa sul proprio corpo (fino agli anni ’20 del 1900, i medici erano insicuri anche sul se e quando ci fosse un periodo fertile durante il ciclo mestruale!) e di come gli strumenti usati per l’aborto e la contraccezione siano stati per lungo tempo pericolosi e mal funzionanti.
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A mo’ di scudo ideologico, per proteggersi dagli attacchi di chi non vorrebbe la presenza di un museo su temi ancora così tabù, i/le curatori/ici del MUVS usano due affermazioni: scelgono di raccontare questa parte della storia (occidentale) come una storia «di successo» e rimarcano quanto sia stato rivoluzionario e necessario per l’essere umano assumere il controllo della propria fertilità, poiché «se lasciassimo fare alla natura, una donna avrebbe 10 gravidanze o più durante la sua vita, da cui in media solo 7 parti di successo». Critica che soprattutto vuole dare autorevolezza all’esistenza del museo puntando sulla valorizzazione della conoscenza «scientifica» e «razionale».
C’è da dire che il museo evita di parlare di importanti implicazioni contenute nel voler trattare di diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) e alla contraccezione, per esempio il fatto che tirare fuori questi temi significhi parlare del controllo storico che istituzioni religiose, mediche e politiche attuarono e continuano ad operare sul corpo delle donne.
A suo favore, il MUVS non riproduce una visione sessuofoba, misogina ed eugenetica del controllo delle nascite. Evita anche con abilità l’uso di un tono paternalista nelle sue descrizioni, il che non è per nulla scontato.
Questo museo è una piccola perla che ci invita calorosamente a sbirciare tra i suoi strani ritrovamenti, cercando nella loro assurdità la forza di prendere in mano la conoscenza e il controllo sul nostro corpo, continuando a dire forti no a chi ancora vede questo potere come peccato (per dirne una, le posizioni della Chiesa cattolica su diritto alla contraccezione e all’Ivg non sono cambiate di molto dal tempo della legalizzazione della contraccezione e dell’aborto in Europa il secolo scorso).
Da visitare!